13-11-2016 - Salve a tutti; aggiornamento serale riguardante la sequenza sismica dell’Italia centrale.
Attività sismica sempre molto intensa nelle regioni colpite dalle scosse di Agosto e Ottobre, ma anche nei settori confinanti, non interessati finora da eventi di magnitudo rilevante.
Nella fig.1, di seguito, vengono riportate tutte le scosse di magnitudo >3 censite nelle ultime 30 h circa (dalle 12:00 di ieri, 12 Novembre, fig.1).
fig.1
In fig.1 la collocazione delle ultime scosse è confrontata con la retta interpolatrice che collega gli epicentri delle 5 scosse principali (linea di rottura, linea ideale, non reale, ottenuta secondo la metodologia raffigurata in figura 2, tratta dal precedente editoriale, che raffigura la suddivisione dei diversi piani della sequenza).
fig.2
Come si evince dalla fig.1, le nuove scosse stanno interessando tutto l’allineamento già interessato dalle precedenti (rimobilizzazioni dei diversi piani di faglia in fig.2), sconfinando comunque sia a nord, verso l’area di Pieve Torina e Muccia (MC), sia a sud, tra Accumoli (Mw 4,1) e Montereale, dove si è verificata una nuova scossa di magnitudo Mw 3,3.
Oltre a tali scosse, c’è da segnalare un’altra localizzazione più a sud di Montereale, nei pressi di Pizzoli (fuori carta), con numerose scosse di magnitudo media intorno Mw 2,5, meno rilevanti come valore, ma importanti per la peculiare collocazione della sequenza, già interessata, insieme all’area di Montereale, dagli eventi del 1703.
Alla luce di tali dinamiche, lo stato di agitazione delle popolazioni colpite non può scemare, ma anzi aumenta. Ovvio che tutti si chiedano, quindi, quando finirà la sequenza attuale e, soprattutto, se ci saranno altre scosse rilevanti in nuovi settori limitrofi a quelli già interessati dalla sequenza stessa.
A tal proposito, risulta utile capire cosa accade quando si verifica una scossa sismica e, soprattutto, perchè alcune lineazioni tettoniche siano considerate più pericolose di altre; guardiamo alcuni semplici schemi (fig.3).
fig.3
Dallo schema in fig.3, come ribadito in altri editoriali, si evince come il terremoto, in particolare la tipologia di terremoto ora analizzata, non sia altro che il movimento reciproco di due volumi di roccia adiacenti attraverso un piano di rottura che li separa, denominato faglia. Nel caso specifico, dei terremoti dell’attuale sequenza, un blocco di roccia scivola verso il basso rispetto a quello adiacente (faglia di tipo diretta, fig.3), generalmente collocato più a est, che resta praticamente immobile o è soggetto a movimenti di scarsa entità
L’energia del terremoto e, di conseguenza, la capacità che ha la scossa di arrecare danni e distruzione dipende sostanzialmente da tre fattori:
1) Ampiezza del piano di rottura (la superficie su cui si esplica il movimento)
2) L’entità della dislocazione (di quanto “scivola” il blocco di roccia)
3) Le caratteristiche geomeccaniche della roccia coinvolta (quanto resiste la roccia prima di rompersi e scivolare)
Tali caratteristiche sono tutte contemplate nella valutazione del momento sismico M0, grandezza da cui, attraverso la relazione mostrata in alto in fig.3, si ricava il valore della magnitudo momento Mw.
Partendo da tali presupposti, risulta facile capire perchè nella valutazione dell’intensità di un terremoto l’unico parametro veramente rappresentativo dell’energia liberata dal terremoto stesso è, appunto, la magnitudo momento Mw, attualmente utilizzata come valutazione ufficiale da tutti i principali enti di ricerca (USGS statunitense ma anche INGV).
La magnitudo momento Mw, per valori inferiori a 6, coincide abbastanza bene con la magnitudo Richter Ml, mentre per i terremoti più forti quest’ultima sottostima il valore (com’è successo inizialmente per la scossa del 30 Ottobre, valutata Mw =6,5 e Ml = 6,1).
Come inquadrare tali concetti per valutare cosa può succedere in futuro nel’area ora interessata dalla sequenza sismica??
Ebbene, dalla fig.3 si evince chiaramente come, una volta effettuato il censimento, dai rilevatori preposti, delle lineazioni tettoniche (faglie) presenti nel territorio, dalla stima della loro ampiezza, dai loro movimenti storici e recenti è possibile comprendere il loro potenziale sismogenetico, ovvero la capacità che tali lineazioni (faglie) hanno di creare terremoti e di quale magnitudo.
Per non dilungarsi troppo nell’argomento, in linea generale le faglie di maggiori dimensioni e che evidenziano maggiori rigetti (spostamenti) sono collocate in Appennino centrale a ridosso, immediatamente a ovest, delle dorsali più alte ed esterne (più orientali), ovvero delle ultime catene montuose presenti prima che la morfologia appenninica lasci il posto alle colline e alle pianure litoranee adriatiche.
Tali dorsali, perlomeno quelle di maggiore elevazione, sono principalmente rappresentate dai massicci dei Sibillini, della Laga, del Gran Sasso e della Maiella.
Altri punti “nevralgici” dal punto di vista sismico sono poi rappresentati dalle conche interne appenniniche (vedi editoriale), come quelle di Avezzano, Sora, Cassino, Terni, Rieti e le stesse Norcia e Amatrice, altri settori in notevole ribassamento, dove sono presenti faglie “bordiere” molto importanti, che hanno evidenziano rigetti molto elevati lungo i piani di faglia (anche >1000 m).
Lo schema riportato di seguito riassume quanto esposto (fig.4), cercando di distinguere, stilizzati, i settori della catena dove possono innescarsi terremoti e la loro importanza.
fig.4
Da quello che si evince dalla presente esposizione quindi, nel corso delle decine di migliaia di anni interi settori di catena si sono mossi verso il basso e verso il Tirreno, per lunghezze complessive di 1000-1500 m in corrispondenza delle faglie più importanti.
Tale processo dura tuttora ed è ben visibile in alcune località, come ben evidenziato ad esempio nell’ormai famosa scarpata di faglia del Vettore, mobilizzata dall’ultimo terremoto.
fig.5
Lo splendido paesaggio della piana di Castelluccio (duramente colpito dalle ultime scosse), con il massiccio del Vettore che incombe sulla pianura, è chiaramente di origine tettonica, poi rimodellato dagli agenti atmosferici, con un dislivello di quasi 1000 m che introduce a una pianura, seguito da un’altra scarpata che degrada verso Norcia. Nessun agente esogeno infatti (piogge, ghiacciai, vento), avrebbe potuto modellare un tale paesaggio “a gradini”,con un profilo così irregolare.
Ecco perchè, in tal senso, il settore a sud dell’attuale sequenza, confinante a est con le alte dorsali della Laga e più a sud con il massiccio del Gran Sasso, storicamente colpito da terremoti di elevata magnitudo (1703), è quello che preoccupa maggiormente gli esperti e gli addetti ai lavori, proprio perchè in esso sono presenti lineazioni tettoniche ad elevato potenziale sismogenetico.
Gli altri settori della sequenza, più a nord e più a ovest, non possiedono tali strutture, ma non per questo non possono generare eventi comunque capaci di arrecare danni a cose e persone.
Infine, un’altra importante domanda che occorre porsi e che tutti ci pongono è sempre la stessa:
Quanto può durare la sequenza??
Premesso che nessuno lo può sapere con esattezza, sappiamo però che l’attività sismica nell’area in esame può essere considerata sempre la medesima da millenni e gli eventi sono quindi confrontabili con il passato.
In buona sostanza, il tasso di abbassamento, ovvero di quanto si abbassa mediamente un blocco di roccia lungo un piano di faglia nel lungo termine, è sempre lo stesso da millenni nelle aree esaminate. In teoria sarebbe quindi possibile stimare il periodo di ritorno di un terremoto confrontando da quanto tempo è quiescente una faglia. Il problema, in tale analisi, consiste nel fatto che, sebbene nel lunghissimo termine l’attività sia regolare, nel breve tutto ciò può avvenire tramite crisi sismiche in cui nell’arco di pochi decenni e/o di un secolo, avvengono più eventi sismici comparabili nella stessa area, come è avvenuto nel ‘700 nell’area in esame.
fig.6
In tal senso, gli eventi de L’Aquila del 2009 e dell’Umbria Marche del 1997 si collocano in tale logica. E’ indubbio infatti, che il rilascio di energia sismica generato da un forte terremoto influenza lo stato tensionale delle lineazioni tettoniche adiacenti (tutti gli esperti convengono su tale aspetto). Ecco perchè una sequenza può durare mesi o anche anni (la differenza è poca in termini geodinamici). Dopo un forte terremoto se ne può quindi verificare un altro, ad esempio, dopo un paio di anni o anche più in un settore limitrofo (2009-2016 ad esempio, lasso temporale brevissimo in termini geologici).
I consigli che si possono fornire sono quindi sempre gli stessi; costruire bene e avere una preparazione civica agli eventi sismici, su come comportarsi e cosa fare in occasione delle diverse scosse.
L’attuale sequenza può ancora durare parecchio ed è normale che lo faccia, non c’è alcuna anomalia in atto.